
“I soccorsi hanno consentito di recuperare 11 persone vive, quindi sono stati, allo stato della nostra indagine, assolutamente tempestivi, perché 11 persone le hanno trovate in tempo. Una persona era ricercata fin dal giorno 19, è morta il giorno dopo e l’hanno trovata il giorno 23 perché lo stato dei luoghi era assolutamente catastrofico e in alcun modo somigliante alle carte, alle piante e a tutte le indicazioni logistiche che erano a disposizione delle persone che cercavano”. Così il procuratore aggiunto di Pescara, Cristina Tedeschini, titolare dell’indagine sul disastro dell’Hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), risponde alle polemiche seguite alle ultime rivelazioni, in merito ai messaggi e alle telefonate che Paola Tommasini provò inutilmente ad effettuare e che dimostrano che la donna rimase viva per almeno 40 ore dopo la valanga, prima di morire sotto le macerie.
Una circostanza che, a giudizio dei legali di alcuni familiari delle vittime, implicherebbe ulteriori responsabilità relative ai ritardi nei soccorsi, in particolare da parte della Prefettura di Pescara, che in quei giorni dirigeva l’Unità di crisi e che non risulta coinvolta dell’indagine, nell’ambito della quale al momento sono indagati soltanto rappresentanti e dipendenti della Provincia di Pescara e del Comune di Farindola.
“Trovo che sia veramente privo di senso continuare a criticare la fase dei soccorsi – aggiunge Tedeschini -. Il dato che si è acquisito all’esito del deposito delle relazioni autoptiche, in maniera definitiva, è che c’è una persona che è rimasta viva ed era viva quando sono iniziate le ricerche, perché i soccorsi sono stati operativi sul luogo a partire dal giorno 19. Questa persona è morta all’incirca il giorno 20 ed è stata trovata il giorno 23 – ribadisce il procuratore aggiunto – quindi è chiaro che il supposto ritardo di avvio dei soccorsi, che dovrebbe essere al massimo di un’ora e mezza, non è in grado di influire in alcun modo sul decorso purtroppo determinato da nostro Signore del decesso di questa persona”.