La conferenza stampa
“Questa vicenda mi ha logorato, ha distrutto la mia famiglia. Adesso sto riacquistando la serenità e spero di poter tornare a indossare la mia divisa, anche solo per un giorno”.
Si era indebitato in banca complessivamente per 120mila euro, prestati dal 2006 al 2008 all’amico Lucio T. che reputava come un fratello ma che invece lo denunciò per “usura promessa”.
Condannato in via definitiva nel 2014, dopo 7 anni arriva la revisione del processo che porta al proscioglimento con formula piena perché “il fatto non sussiste”.
A Lanciano (Chieti) racconta il suo calvario durato 13 anni Giuseppe Di Risio, 58enne di Casalbordino, arrestato nel 2008 quando era brigadiere dei carabinieri in servizio ad Atessa.
Oggi è intenzionato a chiedere giustizia allo Stato che lo aveva condannato e a coloro che lo avevano ingiustamente accusato: “Mi hanno fatto male soprattutto l’accanimento e lo sprezzo usati da alcuni colleghi nei miei confronti”, dice più volte con voce interrotta dalla commozione ripensando alle “divise calpestate” in casa, al momento dell’arresto.
“E’ stato un complotto”, ripete Di Risio, che gli ha procurato la pena di 3 anni e 9 mesi, scontata in parte nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e in parte ai domiciliari.
Il legale difensore Giuliana De Nicola spiega in conferenza stampa la sentenza definitiva di assoluzione. “Finalmente dopo 13 anni la giustizia ha fatto il suo corso e ha assolto una persona ritenuta innocente. Siamo arrivati al processo di revisione tramite prove nuove – dice l’avvocato De Nicola – è stata un’istruttoria corposa, dove sono state inserite con perizia giurata delle registrazioni. Sono stati ascoltati dei testimoni e – conclude il legale – la Corte d’appello di Campobasso non ha avuto dubbi nel rivisitare la condanna di tre gradi e ritenere l’assoluzione nei confronti di Giuseppe Di Risio”.
Tra i testimoni che hanno scagionato di Di Risio anche il comandante del Norm di Atessa, Federico Ciancio, il comandante della Polstrada di Lanciano, Renato Menna, e il magistrato Antonio La Rana, del quale ha fatto la scorta.
I prossimi passi per riacquistare la “dignità” sono la denuncia degli ex colleghi autori delle indagini che lo incastrarono “con cattiveria”, dice Di Risio. In particolare nel mirino c’è un ex collega della polizia giudiziaria, “che – precisa l’ex brigadiere – si è auto intercettato in oltre 200 telefonate, che verranno pubblicate. Farò un libro – prosegue – anche per la gente comune, perché – conclude – non si può scherzare con la vita degli altri”.