Picchetto della Marina militare

“Ragazzi non perdiamoci, ora è il momento di fare luce”: don Alessio Primante invita gli amici di Giuseppe Antonio Gelsomino, 21 anni, presenti alle esequie del giovane marinaio di seconda classe, ad accendere i fari dei telefonini in chiesa come simbolo per fare luce sulla tragica scomparsa avvenuta il 6 agosto scorso sulla nave “Staffetta”, ancorata al porto di Brindisi.
“Lo dobbiamo a lui e alla sua famiglia”, prosegue il sacerdote che è stato insegnante di Giuseppe all’istituto superiore “De Giorgio” di Lanciano (Chieti).
Il picchetto della Marina Militare ha fatto da cornice per tutto il tempo ai funerali del giovane, che sono stati celebrati nella chiesa parrocchiale dello Spirito Santo, nel popoloso quartiere di Santa Rita dove Giuseppe è cresciuto con la sua famiglia. Il papà Paolo, la mamma Daniela, la sorella Giorgia e la fidanzata Maria chiedono verità sulla morte del loro caro.
La procura di Brindisi indaga per istigazione o aiuto al suicidio, nel fascicolo aperto contro ignoti: il 21enne è stato trovato accasciato su una panchina della nave di servizio, un colpo di pistola sparato alla tempia e l’arma accanto.
Un episodio tragico, avvolto ancora nel mistero e su cui aleggia l’ipotesi di nonnismo.

Giuseppe non aveva in dotazione una pistola e i famigliari non riescono a trovare un solo motivo che possa aver spinto il ragazzo a togliersi la vita. Era solare, pieno di progetti per il futuro.
Anche la Marina Militare cerca la verità, presente alle esequie con la delegazione guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino, comandante in capo della Squadra navale, e dal comandante del pattugliatore “Staffetta” Lorenzo Duranti.
Presente anche il sindaco Mario Pupillo, a rappresentare “Il cordoglio della città di Lanciano”.
La ricerca della verità
La famiglia, la Marina Militare e il sacerdote insegnante: tutti cercano la verità.
Già prima dei funerali, Don Alessio scrisse un lungo post proprio rivolto ai suoi studenti, in memoria di Giuseppe. “Ho sempre detto agli alunni di ricercare la verità e non aver paura di abbracciarla, perché la verità rende liberi. Ecco, ora è il momento di cercare insieme la verità: non perché siamo investigatori di professione, ma perché abbiamo profondo rispetto di Giuseppe e di quello che ha significato per coloro che lo hanno conosciuto. Un ragazzo sempre alla ricerca della verità; che non ha mai avuto paura di dire la sua. Non si è mai tirato indietro davanti ai principi e al difendere i suoi amici. Ora siamo chiamati noi a difenderlo e difendere la sua famiglia da notizie che tutto fanno tranne che rispettare la persona. Facciamo corona alla famiglia. Lui è figlio dell’Abruzzo e di Lanciano”.